L’Azienda Agrituristica si trova nel Cuore dell’Area Grecanica, all’interno del Parco dell’Aspromonte, con Punto Vendita nel Centro Storico di Reggio Calabria, in Piazza Carmine.
L’agriturismo gode di una splendida veduta sullo Stretto di Messina, con possibilità di scorrere l’occhio a Sud, fino alla piana di Catania, dove si può ammirare il gigante Etna. Il frutteto in prevalenza è costituito da alberi di mela, varietà comprendenti la: Delicious, Imperatore, Granny Smith, Annurca, Royal Gala e Golden Gala.Anche la parte investita con alberi di pera è piuttosto consistente, con varietà corrispondenti alla Williams, Coscia, Kaiser, Bella di Giugno e Nashi (ne abbiamo, quasi, l’esclusiva produzione in Calabria).
Nell’azienda agricola San Leo si producono inoltre: Frutta e ortaggi di stagione: ciliegie, pomodori insalate varie, fagiolini, marmellate, insaccati vari, miele.
L’Aspromonte è un massiccio montuoso, indicato dagli esperti come la parte finale delle “Alpi meridionali o calabresi”, che chiude la dorsale appeninica. Presenta una morfologia particolarmente frastagliata, caratterizzata da lunghe dorsali, con la cima più alta del Montalto che sfiora i 2000 metri, separate dalle profonde valli delle fiumare che solcano le pendici fino al mare. In questa singolare morfologia si estendono caratteristici pianalti quali veri e propri terrazzi marini originatisi per emersione. Il versante jonico è piuttosto argilloso mentre quello tirrenico è costituito da rocce cristalline. Queste particolarissime formazioni geologiche rendono il massiccio un luogo particolarmente interessante da visitare. I diversi torrenti e fiumare danno origine a vie d’acqua creando scenari veramente unici; fra tutti merita ben più di una citazione la fiumara dell’Amendolea, il cui nome pare derivi dalla presenza lungo il suo corso di piante di mandorli, chiamate amigdalia in greco e mmenduli nei dialetti locali. In quest’area ricade il Parco Nazionale istituito nel 1989 per la tutela e la salvaguardia del Massiccio. Il parco si estende per una superficie di 65.647 ettari e comprende 37 comuni della provincia di Reggio Calabria. Rispetto alle altre alture ed altipiani calabresi, presenta una natura ancora più incontaminata e selvaggia, con una particolare biodiversità dovuta alle differenze climatiche che si creano all’interno della zona. Proprio per la sua singolarità, nell’ambito dell’area parco è stato istituito l’Osservatorio della Biodiversità che spesso si fa promotore di iniziative dirette alla valorizzazione ed alla conoscenza delle diverse specie di flora e fauna autoctone.
L’area Grecanica geograficamente è la porzione meridionale jonica del massiccio dell’Aspromonte che degrada verso il mare con le sue dorsali solcate da vallate di diverse dimensioni scolpite nel tempo dalla forza dell’acqua la cui principale è appunto la vallata dell’Amendolea. Il termine grecanico deriva dalla presenza di una minoranza linguistica ellenofona, ormai fortemente rimaneggiata, che risiede principalmente nei centri abitati di Bova, Condofuri e la sua frazione di Gallicianò, Roghudi, Roccaforte del Greco, borghi situati nell’entroterra a non meno di 10-15 km dalla costa; generalmente si comprende in tale area anche i comuni di S. Lorenzo, Bagaladi, Palizzie la fascia costiera da Melito Porto Salvo fino a Brancaleone. Il Greco e le sue varianti dialettali locali nella provincia di Reggio è stata la lingua parlata fino al XVIº secolo quando fu progressivamente sostituito con il dialetto romanzo anche se con notevoli influenze greche nella grammatica e nei vocaboli. Molte zone interne della parte jonica meridionale continuarono ad usarla fino alla fine del XIX secolo. L’origine della lingua è ancora controversa: secondo alcuni il grecanico deriverebbe dal greco bizantino, mentre l’ipotesi odierna più accreditata è che sia una derivazione della lingua parlata all’epoca delle colonie della Magna Grecia, considerando i molti vocaboli grecanici sconosciuti o scomparsi nel greco odierno ed alcuni termini propri del greco dorico. Dopo l’approvazione della legge nazionale sulle minoranze linguistiche, quella ellenofona è riconosciuta come una delle dodici minoranze linguistiche d’Italia; a Bova Marina è stato fondato l’Istituto Regionale Superiore degli Studi Elleno-Calabri, oggi trasformatosi in Fondazione, che curerebbe la tutela del patrimonio linguistico mentre l’amministrazione provinciale ha istituito a Bova lo “Sportello linguistico per la valorizzazione della lingua greca di Calabria”. L’amministrazione regionale ha promosso l’introduzione nelle scuole dell’area del grecanico ma è enorme la difficoltà di reperimento di insegnanti ed il bilinguismo che si sarebbe voluto diffondere nei fatti si è limitato alla toponomastica dei centri abitati di Bova, Bova Marina e della frazione Gallicianò di Condofuri.
DA VISITARE:
Una delle mete più interessanti è la Valle dell’Amendolea con le caratteristiche cascate (conosciute anche come Cascate del Maesano), tre salti che terminano in altrettante pozze scavate dall’incessante lavorio dell’acqua nella roccia. L’Amendolea è il corso d’acqua più importante della provincia di Reggio Calabria; sul suo principale affluente, il torrente Menta, è stata realizzata l’omonima diga, un colossale complesso di invasi, strade di servizio e gallerie di adduzione. A guardia della Fiumara Amendolea, è possibile raggiungere l’imponente castello dei Ruffo di Calabria (antica e potente famiglia nobiliare, vicina alla figura dell’Imperatore di Costantinopoli) situato nell’antica via pubblica, che collegava Amendolea a Bova, ricca di ruderi di chiesette d’ispirazione bizantina (alcune con affreschi ancora leggibili) e dove insisteva l’intero borgo, abbandonato dopo l’alluvione del 1951.
Attorno alla media valle della Fiumara Amendolea vi è l’ultimo rifugio dei “calabrogreci”. Nei vecchi abitati di Condofuri, Roghudi, Gallicianò, Roccaforte del Greco e Africo è ancora possibile rinvenire la presenza dell’antica comunità grecanica, minoranza etnica ellenofona che abitava questi luoghi. Il paesino di Gallicianò, con poco più di 200 abitanti, è l’unico borgo con una maggioranza ellenofona che resiste all’abbandono e che ha mantenuto intatte le tradizioni culturali, artigianali, musicali dei Greci di Calabria. Caratteristica è la piccola chiesa ortodossa di Panaghìa tis Elladas (Madonna dei Greci) testimonianza di un rinnovato clima ecumenico e di un ritorno degli ortodossi in siti d’antichissimo culto greco.
Caratteristica è la “via dei pellegrini” che porta al Santuario di Polsi, isolato luogo di culto incassato nell’alta valle della fiumara Bonamico ad oltre 800 m. di quota ai piedi del versante nord-orientale del Montalto, meta di pellegrinaggio da giugno a novembre. Qui è possibile rivivere i riti primordiali del pranzo con l’uccisione di centinaia di capre, il cui sangue tinge di rosso le acque, l’accensione di enormi fuochi per arrostirne le carni e con, in sottofondo, danze sfrenate al ritmo di tamburelli e organetti. L’itinerario prevede anche la visita alla casa natale di Corrado Alvaro, a lato della Chiesa Madre di San Luca, inserita anche nel percorso del “Parco Letterario” intitolato allo scrittore.
Raggiungendo il letto della fiumara Bonamico si arriva al Lago Costantino, un lago di sbarramento formatosi a seguito di una enorme frana del gennaio 1973 in un tratto mediano della zona tra Polsi e San Luca, il cui nome trae origine dal luogo in cui erano presenti i ruderi del monastero Basiliano, del X secolo, di San Costantino. Sebbene notevolmente ridotta la sua capacità di invaso, il lago rappresenta, ancor oggi, una delle più importanti attrattive dell’Aspromonte.
Un altro interessante percorso è il “sentiero degli eremiti” che culmina con Pietra Cappa, regina dell’Aspromonte, che sovrasta la Vallata delle Grandi Pietre; suggestivo luogo (indicato nei documenti medievali come pietra vuota e scavata, Pietra Cauca) ricco di numerose grotte ed anfratti che attirarono, nei secoli, numerosi eremiti basiliani lasciando una civiltà di minuscole chiese costruite con materiali poveri e di giacigli degli asceti scavati nella roccia.
Fra i borghi si annovera Staiti. Arroccato sul Monte Cerasìa, è un punto panoramico tra il Mar Jonio e l’Aspromonte in cui si domina la parte centrale del massiccio ricoperto di boschi, dal Montalto fino ai Campi di Bova, e dove si scorgono le punte aguzze delle rocche di Bova e di Pentedattilo. Grazie al Circolo culturale che vi opera, Staiti è inserito dal 1994 nel circuito dell’Ospitalità Diffusa del “Sentiero dell’Inglese”, che collega oltre 10 centri collinari dell’Aspromonte, caratteristico e suggestivo percorso con asini al seguito per il trasporto dei bagagli. Sulla via è possibile visitare i ruderi bizantino-normanni dell’abbazia di S. Maria di Tridetti.
Pentedattilo è, fra i borghi, uno dei più suggestivi della Calabria ed è proprio dalla montagna alla quale è aggrappato che ha ricevuto il nome: il termine bizantino penta-daktylos significa “di cinque dita”. Ed infatti la rupe allunga verso il cielo pinnacoli rocciosi simili a dita di una mano che al tramonto si colorano di rosso o, secondo la fantasia popolare, di sangue. Il paese è ormai abbandonato dagli anni ‘60 – ‘70 ma iniziative di rivitalizzazione, a partire dagli anni ’90 ad opera di diversi soggetti ed in ultimo dell’Agenzia dei Borghi Solidali, hanno fatto sì che alcune casette ospitino botteghe artigiane, piccoli musei, sale espositive, laboratori didattici.
Il borgo di Bova, capitale culturale della Bovesia, è censito nella guida de I Borghi più Belli d´Italia, per il valore ambientale e paesaggistico del territorio, l´armonia architettonica del tessuto urbano e la qualità del patrimonio edilizio pubblico e privato. L’intero territorio custodisce immutate le tracce della sua remota natura di crocevia sul bacino del Mediterraneo; antica sede vescovile di rito greco, fu l’ultima diocesi orientale a cadere nel 1572, anno in cui l’Arcivescovo Cipriota Stauriano impose il rito latino. La minoranza linguistica ellenofona è riconosciuta come una delle dodici minoranze linguistiche d’Italia e l’Amministrazione provinciale ha istituito lo “Sportello linguistico per la valorizzazione della lingua greca di Calabria”. Qui è presente il Museo della Civiltà Contadina, un percorso all’aperto che si snoda nei vicoli dell’antico borgo e che accompagna i visitatori in un percorso storico dell’agricoltura locale e della connessa vita contadina.
Ed ancora l’antico borgo abbandonato di Samo, che spicca maestoso sul letto della Fiumara La Verde, con le chiese di S. Giovanni Battista e di San Sebastiano dove sono ancora visibili affreschi quattrocenteschi.
Fra le manifestazioni estive presenti nell’area grecanica è da non perdere il Paleariza (in grecanico “antica radice”), festival di musica e cultura etnica che dal 1997 costituisce il biglietto da visita turistico di questo territorio. Il festival ha una durata di circa 20 giorni con eventi collaterali culturali e naturalistici con visite guidate e percorsi di trekking; i programmi coniugano spettacoli di artisti internazionali di musica etnica con le tradizioni musicali locali in serate itineranti fra i borghi grecanici in cui oltre alla musica il visitatore può gustare le tipicità culinarie della zona e spettacoli tradizionali come il ballu du camiddhu (ballo dell’asino).
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Sport e natura
L’origine del toponimo Aspromonte, secondo alcuni, pare sia attribuibile alle popolazioni greche che abitavano la costa jonica sottostante e ne ammirassero, dal mare, le candide e scoscese pendici mentre altri protendono per il significato letterale di montagna aspra. Presenta una morfologia caratterizzata da un acrocoro centrale sormontato dalla vetta del Montalto da cui si diparte un ventaglio di lunghe dorsali separate dalle profonde valli radiali delle fiumare.
L’area è caratterizzata da una spiccata biodiversità. La specie più diffusa è il Faggio che forma splendide fustaie, con la presenza di esemplari giganti che superano il metro di diametro, a cui segue il Pino laricio (detto “zappinu”) che dà vita sia a boschi piuttosto densi che a formazioni rade con esemplari maestosi che raggiungono i quaranta metri d’altezza. Diffusi un po’ ovunque si trovano il Castagno, l’Ontano, l’Acero, il Pioppo nero e il Salicone. Di frequente, nei pressi degli antichi ruderi, si trovano vecchi e possenti esemplari di Gelso, Ginestra, Mirto e Ginepro mentre lungo i corsi delle fiumare vi è un proliferare di Oleandri e Tamerici. La flora è ulteriormente impreziosita da specie endemiche inconsuete e dalla presenze di rare Felci tropicali di notevole sviluppo. Ma la zona è anche una grande riserva faunistica dove vivono diverse specie: il Lupo, presente nella parte centro-orientale del massiccio, il Gatto selvatico, che popola un gran numero di foreste, il Ghiro, che abita le cavità dei grandi alberi. Importante presenza faunistica è quella dei rapaci come l’Aquila del Bonelli, quasi estinta sull’intera penisola, il Gufo reale, che sopravvive con poche coppie, il Falco pecchiaiolo e il Falco pellegrino.
Quest’area si presenta come un’interessante attrattiva turistica. Numerosi i sentieri di trekking che permettono di attraversare questi magnifici luoghi alla riscoperta di una natura selvaggia e suggestiva con i caratteristici corsi d’acqua, i suggestivi paesi fantasma, i monumenti storici e gli agglomerati rocciosi. La presenza di fiumare, cascate e stretti valloni rende possibile la pratica di sport come il rafting, il canyoning ed il torrentismo consentendo l’esplorazione di luoghi raggiungibili, un tempo, solo dall’acqua.
Tra i percorsi di trekking si segnalano:
Trekking per la Vallata delle grandi Pietre, percorso di circa 2 km situato nella zona nord-orientale del Parco nazionale dell’Aspromonte, tra i comuni di Careri e S. Luca, dove è possibile ammirare enormi rocce monolitiche con forme insolitamente tondeggianti, tra cui spicca il monte Pietra Cappa denominato “panettone geologico” e caverne usate dai monaci basiliani.
Percorso del Monte Tre Pizzi nel comune di Ciminà, così chiamato per la curiosa forma a tre punte, si snoda per circa 1,5 km e consente di ammirare una volta arrivati ad un pianoro verso la sommità del monte uno splendido panorama e le rovine della chiesa bizantina dei Santi Pietro e Paolo.
Il Sentiero del Brigante, scoperto dal GEA (Gruppo Escursionisti d’Aspromonte) alla fine degli anni ottanta, è un percorso che unisce i territori del Parco Nazionale delle Serre e del Parco dell’Aspromonte, parte da Gambarie d’Aspromonte e, attraversando verso nord tutto il crinale di questa parte dell’appennino, raggiunge Serra S. Bruno e/o Stilo dopo essersi biforcato nella zona della Ferdinandea. Il nome del sentiero evoca storie e leggende legate al fenomeno del brigantaggio particolarmente attivo nei secoli in questa parte della Calabria. Lungo il percorso si trovano varie segnalazioni toponomastiche che, con riferimenti a documenti bibliografici, raccontano dei vari personaggi che hanno percorso e trovato rifugio in questi luoghi. Il percorso ha una lunghezza complessiva di 120 km ed è diviso in 9 tappe.
Anche nell’area grecanica sono presenti diversi spettacoli naturali, come i Calanchi, squarci nella montagna che degradano fino al mare e che possono essere considerati dei veri e propri monumenti naturali. Questi sono visibili a Palizzi, oltre che a Roghudi, dove le rocce modellate dal vento e dagli eventi atmosferici hanno creato delle formazioni quali la “Rocca del Drago” ed altre denominate “Caldaie del latte”.
Storia e cultura
L’area dell’Aspromonte fu colonizzata dalle popolazioni greche per come testimoniano le fonti storiche letterarie ed i reperti archeologici riportati alla luce. La dominazione greca iniziò nell’VIII secolo a.C e, con pause più o meno lunghe, durò fino all’XI secolo d.C. I coloni Greci, insediatisi nelle aree litoranee ai piedi dell’Aspromonte, iniziarono ad ampliare i loro insediamenti apportando una civiltà più evoluta rispetto a quella delle popolazioni locali; oltre alla lingua ed ai sistemi di costruzione, importarono le tradizioni contadine della pastorizia e delle coltivazioni agricole di cereali, ulivi e viti che presero il posto di una parte delle fitte foreste esistenti. Iniziò così un periodo di grande floridità per le terre calabre che diede vita al mito di una regione fertile, ricca di materie prime, legname e selvaggina e che consentì alle città, erette con il tipico impianto urbanistico della polis greca, di assurgere ad elevati livelli di civiltà, benessere e a potenze militari ed economiche. Intorno al IV secolo a.C. si avviò la decadenza delle colonie greche con l’avvento dei popoli del nord che si insediarono nella Calabria centro-settentrionale ed in una parte dell’Aspromonte, come testimoniano i resti delle fortificazioni murarie erette per difendersi dall’attacco dei Bruzi. Questi ultimi subirono, nei secoli, una forte pressione da parte dei Romani che, dopo la sconfitta di Pirro e durante le guerre puniche con la sconfitta di Annibale, avviarono un poderoso processo di sottomissione e depredamento delle popolazioni calabre ed il massiccio saccheggio del patrimonio forestale per rifornire di legname pregiato l’urbe, le flotte e gli eserciti di Roma. Ma le “asperità” del territorio aspromontano, con i suoi giganteschi monoliti, le strette valli incassate e le irte pendici impedirono, di fatto, che le grandi foreste interne fossero totalmente depredate. Il territorio subì, però, un importante disboscamento quando cominciò l’arretramento degli insediamenti greci dalla costa alle zone collinari e, a partire dal IX secolo d.C., con le incursioni dei pirati saraceni e turchi. Un brulichio di piccoli borghi cominciò ad ergersi sui fianchi pedocollinari dell’Aspromonte dando il via ad un irreversibile processo di antropizzazione che portò, nei secoli, a profonde modificazioni chimico-fisiche del territorio diventato teatro di enormi dilavamenti e vasti fronti di frana che hanno ridisegnato l’orografia dei luoghi ed alterato l’equilibrio degli ecosistemi.
Di grande rilievo per la storia e la cultura dell’Aspromonte fu il periodo bizantino, anche noto come seconda colonizzazione greca, epoca in cui la regione mutò il suo nome da Bruzio, dei precedenti conquistatori, a Calabria (terra bella - Kalà e fiorente - brìo). La regione attraversò, infatti, un periodo di fiorente ricchezza che diede nuovo impulso alla società sia sotto l'aspetto politico-economico che religioso. Fra il VII ed IX secolo su tutto il massiccio si diffuse il monachesimo greco che, a partire dal XII secolo, fu definito dal Papa monachesimo basiliano (per distinguerlo da quello benedettino). I monaci-asceti dell’ordine di San Basilio scelsero questi luoghi, remoti e selvaggi, per fondare romitaggi e cenobi e condurvi una vita di contemplazione e preghiera come testimoniano i ruderi diffusamente presenti nelle aree più impervie del territorio e, soprattutto, sul versante sud-orientale. L’attività artistica e letteraria di questi monaci ha disseminato capolavori dell’arte; ne sono suggestiva testimonianza la Cattolica di Stilo, la Panaghìadi Gallicianò, Santa Maria dei Tridetti a Staiti, il monastero Ortodosso di Sant’Elia e Filareto a Seminara.
La floridità del periodo bizantino si concluse con le invasioni normanne. A partire dall’XI secolo i Normanni, vassalli del Papa, intrapresero la progressiva conquista dei territori Bizantini ritagliandosi una fetta importante nell’assetto geo-politico del sud Italia con il conseguente avvio del processo di latinizzazione sia del culto che della lingua. Ruggero, Conte di Calabria e di Sicilia, stabilì a Mileto la sua capitale facendovi istituire, nel 1081, la prima diocesi di rito latino nel sud Italia. Con i Normanni iniziò lo smantellamento della rete delle diocesi e dei cenobi di rito greco, voluto dai sovrani e avallato dai Papi: vennero fondate nuove diocesi di rito latino (Bagnara Calabra, San Marco Argentano) mentre le vecchie vennero latinizzate e sorsero nuovi conventi di monaci latini (Certosa di Serra San Bruno, Abbazia di Santa Maria della Sambucina).
Seguì un lungo periodo di crisi economica e politico-sociale sotto la dominazione degli Angioini, che introdusse l'estensione del latifondo feudale e vessò la popolazione con un'esosa politica fiscale, degli Aragonesi, che vide i baroni appropriarsi di molte terre ed avere il monopolio del commercio dei prodotti agricoli ed, ancora, della dominazione Spagnola, segnata da forti contrasti fra baroni e ceti meno abbienti acuiti da carestie e pestilenze che decimarono la popolazione calabrese.
Nella prima metà del Settecento in Calabria si avviò un periodo di riforme sotto l'amministrazione di Carlo III° di Borbone segnata da una breve fase di ripresa delle attività commerciali soprattutto nelle lavorazioni della seta e del legname. Ma la società stentava a riprendersi anche a causa delle calamità naturali: il terremoto del 1783 devastò interi paesi provocando l’inondazione di terre e villaggi. Il governo borbonico, allora, intervenne istituendo la Cassa Sacra; furono requisiti i possedimenti della Chiesa in parte per assegnarli alla popolazione ed in parte per utilizzare i proventi delle vendite e dare il via ad un processo di detassazione, ricostruzione e bonifica.
Nel febbraio 1806, con l’avvento dei Francesi che occuparono Napoli, anche in Calabria iniziò una decisiva fase di riforme improntata su un’evoluzione liberale e democratica dell’intera società. Fiorenti erano alcune attività fra le quali le industrie siderurgiche nelle Serre catanzaresi (la Mongiana e la Ferdinandea) e le industrie tessili della piana di Sibari, dove si producevano cotone e lana. Ma con l'unificazione della penisola, venendo meno la politica protezionistica borbonica, la regione subì un forte arresto delle attività industriali e si caratterizzò come una terra di contadini e di emigrati dando il via a quell’inesorabile divario che è lo sviluppo industriale del Nord e il sottosviluppo agricolo del Sud. Degno di nota in questo periodo storico il fenomeno del brigantaggio in Aspromonte e nelle Serre calabresi. Il fenomeno, già noto in altre epoche (da Spartaco come primo esempio di “brigante” che ha attraversato questi territori, al brigantaggio feudale), assume una certa importanza con il cosiddetto Grande Brigantaggio ossia il brigantaggio post-unitario particolarmente attivo tra 1861 ed il 1865. I briganti, appoggiati e finanziati dai Borboni in esilio, dalla Chiesa e da nobili locali, erano motivati dal peggioramento delle condizioni economiche dopo l’unità nazionale, con la privatizzazione dei terreni demaniali una volta coltivati da braccianti, dall’estensione della coscrizione obbligatoria di massa e soprattutto dalla mancanza secolare del rispetto verso leggi e giustizia molto spesso inique. L’esercito regio, nel combattere il fenomeno, si rese spesso protagonista di esecuzioni sommarie e soprusi verso la popolazione locale accusata di parteggiare e difendere i briganti. Tutto ciò nel tempo ha creato figure leggendarie come ad esempio quella del Brigante Musolino, vissuto a cavallo tra l’800 ed il 900, simbolo di riscatto da presunte ingiustizie perpetrate dall’ordine costituito di quei tempi.
A partire dal dopoguerra si verificò un movimento delle popolazioni che, dalle zone interne isolate e quasi inaccessibili, cominciò a trasferirsi sulle coste con l’abbondano di buona parte dei terreni condotti in collina. A partire dagli anni ’60 l’autorità forestale cominciò un’importante opera di rimboschimento del massiccio e, contestualmente, il Parlamento approvò, nel 1968, la legge sul Parco Nazionale della Calabria che fu ufficialmente istituito nel 1989 su iniziativa del senatore Sisinio Zito.